SCUOLA TIANDIHE

Arti Marziali, Musica e Meditazione

Site logo

Unione di cielo e terra

PROTEGGERE LA VITA: LA VIA DELLE ARTI MARZIALI

II° Parte






Continuiamo con il XXXI° capitolo del Daodejing:


Egli (il saggio) dà la precedenza alla calma ed alla quiete
Quando vince non se ne compiace.
Chi se ne compiace
gioisce nell’uccidere gli uomini.
Ora, chi gioisce nell’uccidere gli uomini
non può attuare i suoi intenti nel mondo.


Dire che, nel conflitto, si dà la precedenza alla calma ed alla quiete, significa che la pratica magistrale “gong fu” aiuta a raggiungere uno stato di “distacco” in cui la tecnica scaturisce da sola.
Naturalmente questo è il risultato di un lungo ed umile addestramento che, da pratica, diventa istinto. Una maturazione che arriva quando si è pronti… proprio come l’erba che cresce da sola.
Questo “distacco” ha poco a che fare con l’attività sportiva in cui malizia, regolamenti e posture determinano il gioco; mentre è in relazione ai momenti di sopravvivenza in cui la propria e l’ altrui vita è in pericolo.
Quando la tecnica diventa istinto e quando l’istinto è sostenuto dalla tecnica si ha un’azione efficace… e la via per questa azione efficace è la continua ed infinita ripetizione.

Quando vince non se ne compiace.
Chi se ne compiace
gioisce nell’uccidere gli uomini.



Si può trovare inconcepibile il fatto di affrontare un combattimento, una sfida, una guerra, senza compiacersi della vittoria.
Allora perché combattere?
Questo ci riporta alla fatidica domanda.
Nel capitolo L° del Daodejing si dice che:





Predisposti alla vita sono tre su dieci
Predisposti alla morte sono tre su dieci
Gli uomini che dalla vita vanno verso la morte
sono pure essi tre su dieci.


Predisposti alla morte sono tre su dieci… si potrebbe dire, in termini moderni, che persone cresciute nella violenza possono essere facilmente inclini all’aggressività senza alcun senso di colpa per le loro azioni.

Predisposti alla vita sono tre su dieci… come nel caso di persone che con consapevolezza dei meccanismi distruttivi riescono con facilità a preservare la vita (come ad esempio Gandhi o Capo Giuseppe).

Infine tre persone su dieci vanno dalla vita in direzione della morte.
Ognuna di queste tre categorie rappresenta un tipo di praticante di arti marziali e dopo venticinque anni di insegnamento posso dire che non è “chi è predisposto alla morte” colui che, come può sembrare scontato, prova gioia nel ferire, nel colpire, nel penetrare!
La persona che ha predisposizione per la morte si trova a suo agio nell’aggressività perché è la cosa che conosce meglio, affronta scontri per denaro più che per piacere, ed è tormentato da paure ben più grandi di quella che può fargli l’avversario che ha di fronte.
Naturalmente neppure la categoria predisposta alla vita trova piacere nel colpire.
Rimane il gruppo centrale: quelli che dalla vita vanno in direzione della morte.
E’ proprio a causa di una dualità interiore, di una lacerazione, che molte persone provano il piacere di uccidere. Nel loro interno si svolge un combattimento che non vogliono vedere e questo porta a “dimostrare” all’esterno il loro valore, valore che, nell’intimo, è continuamente messo in discussione.
Diversi sono i motivi che portano dalla Vita alla Morte, a questa dualità interna. Personalmente ritengo che una delle cause principali sia l’affermazione, o la minaccia, della propria “identità maschile”, tenendo conto il fatto che, finora, la maggior parte dei conflitti sono perpetrati da uomini.
Non solo la millenaria simbologia orientale, ma da un centinaio di anni anche la psicologia occidentale riconosce in percosse ed armi una relazione con il penetrare, con l’atto sessuale più o meno sublimato.
Semplificando: meno si è in armonia con la propria identità più si ha bisogno di dimostrarla all’esterno.
E’ semplice, ma le cose si complicano quando tutto ciò viene negato a se stessi. Ecco che allora si creano “romanzi personali”, razionalizzazioni atte a giustificare il proprio impulso di morte.
Queste persone sono pericolose per se stesse e per gli altri.
Facciamo un esempio: il soldatino che parte per la guerra, contento di dimostrare finalmente se ha o no le palle, non solo farà soffrire genitori e chi gli vuol bene ma probabilmente, insieme a se stesso, porterà alla rovina anche le persone che si sono a lui affidate. In termini della vecchia strategia militare un simile soldato è ottimo come kamikaze o al massimo come fante, non certo come cavaliere o ufficiale perché, tutto preso da se stesso, è incapace di prendersi cura delle vite a lui sottoposte. Alla domanda: “Per che cosa si combatte?” egli risponderà, se può essere sincero: “Combatto per me stesso!”. La sconfitta dell’altro aggiunge valore al proprio io e questo dà gioia.
Ben lungi invece da chi è predisposto alla vita e che invece combatte contro la sua volontà. Egli combatte per difendere… i propri cari, chi non può farlo da solo, una foresta, un modo di vivere.
Ed è lontano anche da chi è predisposto alla morte, che almeno è una persona efficiente, esegue gli ordini e vuole godersi la paga di fine mese!
Naturalmente chi “gioisce nell’uccidere” può fare il cammino a ritroso dalla morte alla vita.
Anzitutto è necessario deviare l’attenzione dal combattimento esteriore al reale combattimento interiore.
Quindi alla luce della “consapevolezza e dell’accettazione” si può far cessare questo conflitto di identità, senza essere più né uomo né donna, ma esseri fra Cielo e Terra… capaci finalmente di difendere la vita.



Ora, chi gioisce nell’uccidere gli uomini
non può attuare i suoi intenti nel mondo.

Sembra vero l’opposto: l’intera esistenza è in mano al più forte, al prepotente e molte guerre si sono concluse con genocidi (vedi Cartagine o la sorte dei nativi americani) mentre i vincitori hanno prosperato.
Ma Laozi, l’autore del Daodejing non è così ovvio e neppure così banale: il suo punto di vista è quello dell’acqua, che pur essendo la cosa più morbida del mondo, riesce con il tempo a scavare profonde cavità.
Così se la seconda guerra mondiale fosse stata vinta dei nazisti, la loro visione del mondo sarebbe stata messa in discussione dai loro stessi figli o al massimo dai nipoti… gli adolescenti di tutti i tempi non sono inclini alle costrizioni e la forza della Vita è come un fiume… Non è detto che gli eredi dei nativi americani non siano proprio i discendenti degli stessi bianchi che li hanno massacrati, come vuole la profezia dei “Guerrieri Arcobaleno”.
Per dirla in termini simbolici: la vita, per esistere, ha bisogno che nel conflitto fra Luce e Tenebra vi sia almeno una piccola prevalenza di Luce. Per questo chi gioisce nell’uccidere non può attuare i suoi intenti nel mondo.



Dante Basili